Le valute virtuali, o meglio le rappresentazioni virtuali di valore, possono essere definite come Criptovalute. Si tratta di valute che possono essere create da chiunque abbia capacità informatiche per costituire la tecnologia e sviluppare il software. Una volta realizzata la tecnologia, un miner, che governa una blockchain, può generare valuta virtuale eseguendo calcoli matematici complessi. Gli users la ottengono acquistandola dagli exchangers oppure scambiandola o compravendendola con altri soggetti, anche non professionali.

Una volta acquisita la Criptovaluta prescelta è possibile decidere se:

  • detenerla in un digital wallet, con finalità di investimento nel medio/lungo periodo;
  • cederla su piattaforme di scambio, con intento speculativo a breve termine;
  • spenderla per i propri acquisti online.

Solitamente chi opera con le Criptovalute prima o poi deve scontarsi con il mondo reale e con la normativa civilistica e fiscale. Vediamo di seguito gli aspetti fiscali legati all’imposizione diretta ed indiretta.

La definizione di moneta virtuale

Considerati gli svariati settori e le diverse finalità in cui sono impiegate oggi le Criptovalute, sarebbe opportuno poter offrire una definizione completa. Tuttavia, possiamo dire che non esiste una definizione giuridicamente rilevante di valuta virtuale.

L’aspetto più importante è quello di poter andare a definire in futuro una natura univoca del termine Criptovalute, valida per tutte le varie branche del diritto.

Per riuscire in questo intento è opportuno andare a guardare la funzione che, di volta in volta, le monete virtuali svolgono. Precisamente, le valute virtuali hanno una natura mista. A seconda del contesto di riferimento in cui sono utilizzate, potrebbero presentare le caratteristiche proprie:

  • Della moneta;
  • Delle commodities;
  • Dei titoli;
  • Dei diritti di baratto;
  • Del sistema di pagamento;
  • Del bene immateriale e, infine,
  • Della valuta estera.

Come sappiamo le economie moderne si basano sulla moneta fiduciaria, emessa da una banca centrale, accettata in cambio di beni e servizi. Questo perché gli utilizzatori confidano che l’istituto emittente manterrà il valore della moneta costante nel tempo:

  • Valorizzandola come riserva di valore, e
  • Garantendone i diritti correlati.

Al contrario, le monete digitali sono state definite come una valuta non tradizionale, vale a dire diversa dalle monete con valore liberatorio. Conformemente, la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso ha definito le Criptovalute una tipologia di “moneta virtuale”. Si tratta di una “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale.

La valuta virtuale è, quindi, fondata sull’accettazione volontaria della stessa da parte degli operatori del mercato, senza quindi, un proprio corso legale. Possiamo dire, quindi, che si tratta di una sistema di valuta alternativo e decentralizzato.

Oltre a ciò si afferma che, ai fini IVA, l’attività di acquisto/vendita, posta in essere da una società, debba essere considerata quale prestazione di servizi esenti. Prestazione, come vedremo meglio in seguito, da considerare esente IVA ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del DPR n 633/1972.

La possibilità di detenere le criptovalute in banche usa

L’Office of the Comptroller of the Currency (OCC), l’agenzia che si occupa del controllo e della regolazione degli obblighi contabili delle banche USA, ha autorizzato gli istituti di credito americani a fornire servizi di custodia di criptovalute, inclusa la detenzione di chiavi crittografiche unitche.

Quindi negli USA le valute virtuali entrano nelle banche, anche se come servizio di custodia, come se fosse una cassetta di sicurezza.

Come avviene l’acquisto e la gestione delle criptovalute con gli exchange?

L’acquisto di criptovalute avviene generalmente mediate l’iscrizione a piattaforme online (cd. “exchange“). Le piattaforme più utilizzate sono estere (si pensi ad es. alla statunitense Coinbase, alla sudcoreana Upbit o alla cinese Binance), ma esistono anche alcune piattaforme italiane (la prima è stata Conio).

Queste piattaforme mettono a disposizione dell’utente un portafoglio elettronico (cd. “wallet“) che, una volta collegato ad un conto corrente bancario oppure ad una carta di credito consente lo scambio di valute virtuali tradizionali.

Lo scambio avviene sulla base di un tasso di cambio (es. è possibile scambiare bitcoin con euro al tasso BTC/EUR).

Dopo l’acquisto le monete virtuali vengono detenute su tali portafogli elettronici e possono essere riconvertite in euro o utilizzate per effettuare pagamenti a favore di altri soggetti (anch’essi titolari di wallet) che le accettano come mezzo di scambio. In alternativa, le criptovalute possono essere trasferite – per esigenze di maggiore sicurezza – ad un wallet privato, che ha le stesse funzionalità di un portafoglio elettronico gestito da un exchange. Questo, con l’unica limitazione che non permette di riconvertire in euro le monete virtuali.

Quindi, a seconda dell’utilizzo le valute virtuali possono essere utilizzate sia come strumento di investimento che come mezzo di scambio per effettuare pagamenti (se accettate dalla controparte).

La mancanza di una normativa legale sulle criptovalute

L’utilizzo della Criptovaluta presenta alcune caratteristiche intrinseche negative. Mi riferisco, inevitabilmente, al fatto che ancora la normativa civilistica non ha ancora provveduto ad adeguarsi. Le movimentazioni di denaro virtuale per la legge italiana non sono ancora state oggetto di normativa giurdica specifica.

Come in tutti i settori, spesso, il mondo reale è sempre un passo indietro al mondo virtuale. Inevitabilmente, è così anche per le Criptovalute. Questo aspetto, inevitabilmente, si porta con se delle conseguenze negative per ogni soggetto che tratta criptovalute.

Cosa voglio dire? Vediamolo insieme.

Rischi legati allo scambio di criptovalute

Avrai notato sicuramente online molto spesso una concreta mancanza di trasparenza, di chiarezza, la dipendenza totale dall’IT (Information Technology) e dalle reti. Avrai notato l’anonimato degli attori coinvolti nel mercato e il rischio di poter nascondere dietro ad una valuta virtuale movimentazioni non lecite.

Inoltre, qualora un hacker si impossessasse della crittografia privata e delle credenziali del proprietario contenute nei digital hot wallets, sarebbero guai. Infatti, nessuna garanzia di rifusione sarebbe garantita per la persona offesa.

Ugualmente, nessun rimborso è previsto in caso di transazioni non autorizzate ovvero inesatte. Questo sia nell’indicazione sia dell’indirizzo digitale del beneficiario sia dell’importo trasferito.

Rischi legati alla volatilità delle criptovalute

Un altro rischi legato all’utilizzo di moneta virtuale è quello legato ad un alto livello di volatilità. Come abbiamo detto la moneta virtuale non è agganciata ad alcun valore di riferimento, è totalmente dematerializzata e questo determina la volatilità del suo valore nel tempo.

Da notare positivamente, in questo ambito, l’apertura da parte degli istituti bancari USA di dare la possibilità di detenere presso i loro sportelli la valuta virtuale dei propri correntisti. Aspetto che, sicuramente, nel lungo termine attenuerà il rischio di volatilità del valore di queste monete.

Per questi motivi mi auspico che nei prossimi anni possa esserci una presa di posizione importante dal parte del legislatore. Appare evidente quanto sia opportuno andare a definire in maniera dettagliata, le norme sulle monete virtuali.


L’inquadramento delle criptovalute ai fini iva

Le Criptovalute sono state oggetto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 22 ottobre 2015, causa C-264/14 Skattevertket/Hedqvist.

La causa verteva sul corretto trattamento ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) delle operazioni di cambio di valuta tradizionale contro valuta virtuale (bitcoin). Operazioni effettuate da un operatore specializzato a fronte della riscossione di un margine (differenza tra il prezzo di acquisto e rivendita dei bitcoin).

I giudici europei hanno chiarito che queste operazioni costituiscono “prestazioni di servizi a titolo oneroso” per le seguenti ragioni:

  • La valuta virtuale cambiata contro le valute tradizionali non può essere qualificata come “bene materiale“. La valuta virtuale, infatti, non ha altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento;
  • Per questo le operazioni di cambio non ricadono tra le “cessioni di beni“. In questo contesto tali operazioni costituiscono prestazioni di servizi IVA.

Oltre a questo i giudici hanno ritenuto che le suddette prestazioni debbano rientrare tra le operazioni esenti IVA “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio“.

I principi affermati dalla CGUE sono stati ripresi dall’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n 72/E/2016. Si tratta del caso riguardante una società che eseguiva – per conto della propria clientela – operazioni di acquisto/vendita di bitcoin.

Il documento di prassi ha confermato che l’attività svolta dall’attività istante deve essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esente art. 10, primo comman 3 del DPR n 633/72.

Il trattamento ai fini delle imposte dirette delle plusvalenze derivanti da cessione di criptovalute

I criteri da adottare, in sede di dichiarazione dei redditi derivanti dagli investimenti speculativi eseguiti con le c.d. rappresentazioni digitali di valore, sono definiti dall’Agenzia delle Entrate. In particolare faccio riferimento alla Risoluzione n. 72/E/2016.

Tale documento di prassi, assimila ai fini fiscali le valute virtuali alle valute tradizionali estere. Per questo motivo è necessario tenere a mente quanto indicato nell’articolo 67 del DPR n 917/86:

  • Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria “le plusvalenze […] realizzate mediante cessione a titolo oneroso […] di valute estere, oggetto di cessione a termine o rinvenienti da depositi o conti correnti“. Per cessione a titolo oneroso si intende anche “il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente“. Comma 1, lett. c-ter);
  • Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui“. Comma 1-ter).

Per le valute estere il criterio prescelto è quello di assoggettare a tassazione solo le plusvalenze derivanti da cessione a titolo onero delle valute di cui sia acquisita o mantenuta la disponibilità ai fini d’investimento. La finalità di investimento è ritenuta sussistente quando le valute sono depositate su depositi o conti correnti ovvero hanno costituito oggetto di cessione a termine. Alla cessione a titolo oneroso della valuta è stata equiparato anche il prelievo dal conto corrente o dal deposito.

Al fine, comunque, di evitare di attrarre a tassazione fattispecie non significative la tassazione delle cessioni di valute rinvenienti da depositi o conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza massima dei depositi intrattenuti dal contribuente superi i 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.

Quando la cessione di valute virtuali è fiscalmente rilevante?

Pertanto, ai sensi delle sopra riportate disposizioni:

  • Le cessioni a termine di valute estere sono sempre rilevanti fiscalmente, indipendentemente dalla situazione possessoria (stock “annuale” delle valute estere) del soggetto cedente;
  • Le cessioni di valute rinvenienti da depositi o conti correnti e i prelievi di valute estere da depositi o conti correnti sono fiscalmente rilevanti a condizione che la relativa giacenza sia superiore alla soglia descritta in precedenza.

Inoltre, le cessioni “a pronti” di valute estere sono, dunque, fiscalmente rilevanti se le valute oggetto di cessione sono immesse in un deposito o conto corrente del contribuente e se lo stock di valute estere ha superato, nell’anno, il limite di giacenza previsto dal comma 1-ter dell’art. 67 del TUIR.

Sono oggetto di tassazione anche i prelievi di Criptovaluta dal conto corrente. Infatti, la rilevanza del prelievo di valuta dal deposito o conto corrente ha lo scopo di tassare il maggior valore che la valuta estera ha acquisito da quando il contribuente l’ha acquisita e mantenuta ai fini di investimento. Altrimenti, anziché procedere alla vendita della valuta depositata, il contribuente potrebbe prelevarla ed utilizzarla (eventualmente ridepositandola), senza scontare alcun prelievo sul maggior valore conseguito dalla valuta estera.

I presupposti, il computo e le modalità impositive delle criptovalute

Per valutare se la plusvalenza realizzata con la conversione in euro delle criptovalute (cessione a pronti) sia fiscalmente rilevante, occorre verificare che si sia avuto il superamento del limite di giacenza previsto dall’art. 67 comma 1-ter del TUIR (51.645,69 euro). Limite in conseguenza del quale assumono rilevanza tutte le cessioni di valuta effettuate nel periodo d’imposta.

A tal fine si evidenzia che:

  • Il controvalore in euro delle monete virtuali dev’essere calcolato sulla base del cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, ossia il cambio del 1° gennaio dell’anno nel quale si verifica la cessione;
  • La soglia di giacenza di euro 51.645,69 riguarda i depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente.

L’Agenzia delle Entrate con la Risposta ad interpello n. 956-39/2018 ha affermato che la giacenza va verificata rispetto all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente, indipendentemente dalla tipologia di wallet. Nel caso occorre sommare anche il valore in euro delle altre valute estere tradizionali detenute su depositi e conti correnti.

Esempio di calcolo della giacenza

Nel mese di gennaio anno “n” un soggetto ha acquistato per il tramite di Coinbase 10 bitcoin al tasso di cambio BTC/EUR di 900. A dicembre dello stesso anno vengono convertiti in euro i 10 bitcoin al tasso di cambio BTC/EUR di 16.000 realizzando una plusvalenza di 151.000 euro (10*16.000 – 10*900).
Ipotizzando che il contribuente non fosse titolare di altre valute estere la plusvalenza non è fiscalmente rilevante. Questo non essendo stato superato il limite dell’art. 67, comma 1-ter TUIR.
Tuttavia, se nello stesso anno il soggetto avesse avuto anche un deposito di dollari pari a 50.000 euro la soglia sarebbe stata superata.

Determinazione della plusvalenza da cessione di valute virtuali

Ai fini del calcolo della plusvalenza è necessario confrontare il controvalore in euro della moneta virtuale ceduta (accredita sul wallet della piattaforma il giorno della cessione) con il costo di acquisto della stessa.

Si precisa che per la determinazione della plusvalenza occorre applicare la disposizione di cui all’art. 67 comma 1-bis TUIR, per effetto della quale si considerano cedute per prime le Criptovalute acquisite in data più recente (Metodo LIFO – Last In First Out).

Esempio di calcolo della plusvalenza – Metodo Lifo
Un soggetto ha acquistato 5.000 bitcoin al tasso BTC/EUR di 7. Il mese successivo acquista 3.000 bitcoin al tasso di 12. Nel mese di luglio ha convertito in euro 4.000 bitcoin al cambio di 180.
In questo caso la soglia di giacenza risulta superata (8.000 bitcoin al cambio BTC/EUR al cambio del primo giorno dell’anno è di 7,81 = 62.480 > del limite di 51.645,69. La plusvalenza realizzata – fiscalmente rilevante – è Metodo LIFO: plusvalenza = 4.000 * 180 – (3.000 * 12 + 1.000 * 7) = 720.000 – 43.000 = 677.000

L’importanza del valore di carico nella determinazione della plusvalenza tassabile

Come hai visto nell’esempio numerico precedente l’eventuale plusvalenza tassabile (una volta verificato il superamento della soglia di cui all’art. 67 del TUIR), è data dalla differenza tra:

  • Il valore di carico della valuta virtuale;
  • Il valore di realizzo dell’operazione di vendita della valuta virtuale.

Dalla differenza tra questi due valori emerge la plus/minusvalenza da indicare nel quadro RT del modello Redditi P.F. Da questi elementi è possibile partire per fare qualche ragionamento sulla situazione. Infatti, l’analisi dell’imponibilità delle plusvalenze deve partire dalla verifica del superamento della soglia di rilevanza dell’art. 67 del TUIR. Ora, immaginando che un soggetto in un ipotetico anno “n” non superi la soglia, che cosa accade qualora questi decida di vendere tutto il suo portafoglio di valute virtuali per ricomprarlo in giorno successivo? In buona sostanza in ipotesi di prezzi stabili (più o meno) da un giorno all’altro l’operazione potrebbe sembrare quasi illogica. Tuttavia, per come oggi è strutturata la normativa, potrebbe portare un grande vantaggio. Infatti, con questa operazione cambiano i valori di carico delle valute virtuali detenute, che non saranno più quelli precedenti (magari più bassi) ma quelli derivanti dall’operazione di riacquisto. Ottenere valori di carico più elevati comporta poi un calcolo dell’eventuale plusvalenza (che magari maturerà l’anno successivo, al superamento della soglia) con un risparmio di imposta. Proviamo a chiarire il ragionamento con un esempio.

Ipotizziamo di avere a disposizione cinque unità di valuta virtuale al valore di carico di 10.000. In un anno dove la soglia di rilevanza per la tassazione (art. 67 del TUIR) non viene superata, il soggetto decide di vendere la sua unità di valuta virtuale che ha nel frattempo raggiunto il valore di 12.000. Nell’operazione si sarebbe realizzata una plusvalenza di 10.000 (60.000 – 50.000). Tuttavia, come detto, per il mancato superamento della soglia non è imponibile fiscalmente. Ora, ipotizziamo che il giorno successivo il soggetto riacquisti una unità di quella stessa valuta virtuale per 12.500. L’anno successivo “n+1” il soggetto supera la soglia ed effettua un’operazione di cessione complessiva del suo portafoglio. Il valore di vendita è di 15.000. In questo caso la plusvalenza tassabile è di 15.000 (75.000 – 60.000). Tale plusvalenza è sicuramente più bassa di quella che avrebbe avuto lo stesso soggetto se avesse venduto senza l’operazione intermedia perché il valore di carico sarebbe stato 50.000, invece che di 60.000.

Ora, sicuramente non possiamo affermare che tale possibilità di operare sia perfettamente in linea con la norma, ma sicuramente in questo momento mancano chiarimenti di prassi che possano dirci se comportamenti di questo tipo siano ad oggi permessi o meno. Il consiglio che posso dare è quello della massima attenzione.

La certificazione rilasciata dall’intermediario finanziario non residente

Il possesso della certificazione rilasciata dall’intermediario con cui si effettua trading sulle Criptovalute ha importanza fondamentale. È sulla base di questa documentazione che è possibile predisporre la dichiarazione dei redditi.

Sempre la stessa documentazione dovrà essere conservata in vista si un eventuale riscontro da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria.

Su questo aspetto è importante sottolineare che gli intermediari devono provvedere ad inviare certificazioni quanto più complete e tempestive possibile. Nella pratica professionale posso garantirti che questa cosa non avviene. Le certificazioni che si vedono sono poche, spesso incomplete. Questo aspetto, inevitabilmente, si traduce nell’impossibilità di poter trattare correttamente le valute virtuali in dichiarazione, esponendo il contribuente alla possibilità di incorrere in sanzioni in caso di accertamento fiscale.

Tutto questo tenendo presente che, se non ricevi la certificazione dal tuo intermediario, l’ulteriore rischio che stai correndo è quello di essere incappato in una vera e propria truffa, da denunciare alle autorità competenti.

L’utilizzo del regime del risparmio amministrato per intermediari residenti

Per avere una gestione fiscale più semplice è possibile pensare ad una gestione delle criptovalute con il regime del risparmio amministrato. Si tratta di un regime di tassazione applicato direttamente dall’intermediario, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 461/97.

Tieni presente che il regime del risparmio amministrato può essere utilizzato soltanto in caso di intermediario finanziario residente. Quando, invece, si opera, come nella maggior parte dei casi, con intermediario non residente, il regime del risparmio amministrato trova applicazione solo quando, alternativamente:

  • l’intermediario non residente si sia identificato direttamente in Italia, ed operi tramite sede italiana;
  • l’intermediario non residente abbia costituito una stabile organizzazione in Italia.

E’ opportuno precisare che con il regime del risparmio amministrato non varia la percentuale di tassazione sulle plusvalenze, tuttavia il vantaggio è che la tassazione viene applicata e trattenuta dallo stesso intermediario. L’imposta trattenuta verrà poi girata all’Erario senza interessare il contribuente.

Questo significa che il contribuente è esonerato dall’obbligo di includere i redditi diversi di natura finanziaria nella propria dichiarazione dei redditi derivanti dall’impiego di valute virtuali. Nella pratica sono rari i casi di intermediari che si occupano di criptovalute che abbiano sede in Italia. In pratica, il regime del risparmio amministrato non trova concreta applicazione pratica.

Le plusvalenze da cessione di valute virtuali nel quadro rt del modello redditi p.f.

Ai sensi dell’art. 5 comma 2 D.Lgs. 461/97 le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere sono soggette a imposta sostitutiva del 26%. L’imposta sostitutiva deve essere liquidata dal contribuente nella propria dichiarazione dei redditi e, precisamente, nel Quadro RT del modello Redditi Persone Fisiche (cd. “Regime Dichiarativo“).

Questa modalità di dichiarazione e tassazione della plusvalenza da parte del contribuente si rende necessaria, al posto del regime del risparmio amministrato, che sovente trova applicazione per i redditi diversi di natura finanziaria, per la mancanza di un intermediario residente.

Per questo motivo è lo stesso contribuente che deve adempiere, autonomamente, ai propri obblighi fiscali direttamente in sede di dichiarazione dei redditi annuale, presentando il modello Redditi Persone Fisiche.

Diversamente, in caso di opzione per il regime del risparmio amministrato le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere concorrono a determinare il risultato di gestione fiscalmente rilevante. Questo, senza necessità per l’investitore di indicare tali redditi in dichiarazione.

La compilazione del quadro rt per le criptovalute

In particolare, nel quadro RT, in corrispondenza della sezione dedicata alle plusvalenze soggette ad applicazione dell’imposta sostitutiva al 26% si deve indicare:

  • Il valore complessivo delle valute virtuali cedute nel corso dell’anno valorizzate al cambio del giorno di cessione;
  • Il valore complessivo delle valute virtuali acquistate, utilizzando il metodo “LIFO” (last in, first out), per la determinazione dei valori di acquisto delle valute virtuali cedute.

Il costo di acquisto della moneta, se non documentabile, può essere calcolato. Nel caso è necessario dividere l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di Criptovalute acquistate.

Da questa differenza, qualora emerga una plusvalenza deve essere assoggettata a tassazione con imposta sostitutiva del 26%. Il versamento dell’imposta avviene con la scadenza ordinaria di pagamento delle imposte sui redditi (attualmente il 30 giugno). Il codice tributo da utilizzare con modello F24 è il seguente:

Codice tributo 1100 – Imposta sostitutiva sulle plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. da c-bis) a c-quinquies) del TUIR.

L’anno di imposta da indicare è quello oggetto di dichiarazione.

La gestione e compensazione delle minusvalenze

Che cosa succede fiscalmente se nell’anno ho realizzato solo minusvalenze da cessione di valute virtuali?

Devi sapere che se nell’anno, una volta superato il limiti di cui all’art. 67 del TUIR (visto in precedenza), se hai realizzato esclusivamente delle minusvalenzenon hai alcun obbligo di dichiararle ai fini fiscali.

Tuttavia, devi sapere che può esserci un vantaggio nel compilare il Quadro RT del modello Redditi PF anche in caso di realizzazione di sole minusvalenze. Infatti, tali minusvalenze possono essere utilizzate nell’esercizio in corso e nei quattro successivi per la compensazione con altre plusvalenze realizzate dal contribuente.

Inoltre, le plusvalenze in oggetto possono essere compensate, oltre che con le minusvalenze della stessa specie (derivanti dalla cessione di Criptovalute), anche i minusvalori realizzati ai sensi delle lett. c, c-bis, c-ter, c-quater, del comma 1, dell’art. 67 del TUIR. Tra questi si segnalano quelli derivanti dalla vendita di partecipazioni qualificate e non qualificate, dalla cessione o chiusura di contratti derivati, etc.

Infatti, a norma dell’art. 68, comma 5 del TUIR, i redditi di cui alle lettere da c, a c-quinquies del comma 1 dell’art. 67 TUIR costituiscono un’unica massa indistinta all’interno della quale le plusvalenze possono essere compensate con le minusvalenze. Se l’ammontare complessivo delle minusvalenze è superiore a quello delle plusvalenze , l’eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalla plusvalenze dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto.

Eventuale tassazione estera delle criptovalute e doppia imposizione

Che cosa succede se le criptovalute sono già state soggette a tassazione in altro Stato oltre all’Italia?

La regola generale che devi seguire è la seguente.

Se alla formazione del reddito di un contribuente concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo sono ammesse in detrazione di quella netta dovuta. Questo ai sensi dell’articolo 165 del DPR n 917/86,

Questo fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e quello complessivo, al netto delle perdite di precedenti periodi ammesse in diminuzione.

L’imposta estera, saldata a titolo definitivo ed eccedente la quota di spettanza dell’Erario domestico, relativa ai medesimi redditi esteri, costituisce un credito.

Tale credito è ammesso fino alla concorrenza dell’eccedenza della quota d’imposta nazionale rispetto a quella estera.

I crediti d’imposta così vantati dovranno essere indicati nel quadro CE del Modello Redditi PF.

L’istituto non è applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, ad imposta sostitutiva. Per le Criptovalute, trattandosi di imposizione con imposta sostitutiva, non trova applicazione il credito per imposte estere. In questo caso il contribuente rimane inciso da una doppia tassazione.

Il monitoraggio fiscale delle attività finanziarie estere e criptovalute

I rapporti detenuti dal contribuente residente nel territorio nazionale con gli intermediari esteri rientrano tra i contratti derivati. Si tratta a tutti gli effetti di rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato. Essi soggiacciono, pertanto, alla disciplina contenuta nell’articolo 4, comma 1, del D.L. n 167/1990.

Mi riferisco alla disciplina legata al Monitoraggio Fiscale di attività finanziarie estere. Sono obbligate a rispettare la normativa sul monitoraggio fiscale:

“le persone fisiche che posseggono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia”

Tali soggetti sono obbligati a dichiarare il possesso di investimenti finanziari esteri all’interno del quadro RW della dichiarazione dei redditi. Nello stesso modello dichiarativo devono assoggettare tali attività ad una imposta patrimoniale chiamata IVAFE.

Per quanto riguarda l’IVAFE è arrivato un chiarimento importante da parte delle Entrate. Le Criptovalute non sono soggette a tassazione IVAFE in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria”. Sul punto vedasi l’interpello alla DRE Lombardia n. 956-39/2018.

Tasso di cambio delle monete virtuali

Tutti gli importi esposti nella dichiarazione devono essere espressi in euro. Il controvalore in euro da indicare nel quadro RW degli investimenti e delle attività finanziarie espresse in valuta estera va calcolato con riferimento alla data del costo di acquisto.

Nel qual caso si applica il cambio medio del mese in cui ricade tale giorno. Questo come indicato nel provvedimento di accertamento dei tassi di cambio.

Il alternativa al costo medio del mese si deve prendere a riferimento il valore di mercato di queste attività. Valore che si determina in base ai cambi mensili. Tali valori sono resi disponibili tramite appositi provvedimenti emessi dall’Agenzia delle Entrate.

Anche le plusvalenze da indicare del quadro RT devono essere convertite in euro. In questo caso la base imponibile è determinata assumendo il corrispettivo della cessione, ovvero il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo.

Come costo di acquisto deve essere preso a riferimento quello determinato sulla base del cambio storico. Se vi fossero acquisti di Criptovaluta in tempi diversi deve essere utilizzato il criterio LIFO.

In mancanza della documentazione relativa al costo sostenuto, si assume come tale il valore della valuta al minore dei cambi mensili. Tutti i cambi devono essere accertati, con provvedimento dell’Agenzia delle entrate, nel periodo di imposta in cui la plusvalenza è realizzata. Nel provvedimento di accertamento dei tassi di cambio, però, non sono indicati i valori da attribuire alle valute virtuali.

Tassi di cambio delle criptovalute non pubblicati

Tali valori non sono espressi nel portale della Banca d’Italia. La prima criticità sorge, quindi, quando il contribuente è tenuto ad indicare il controvalore in euro.

Se nessuna titubanza sorgerebbe quando le plusvalenze si generano con la conversione in valute Fiat, qualche dubbio emergerebbe se sono cambiate con altre valute virtuali. Oppure nel caso in cui tali valute virtuali permangano nel portafoglio dei titolari.

In generale, ai fini di detta valorizzazione, per similitudine, si potrebbe fare riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piatteforme on-line in cui avvengono le compravendite.

Conservazione della documentazione

A questo punto sorge un’ulteriore problematica dettata dalla conservazione della documentazione comprovante la quotazione.

Ovvero delle certificazioni rilasciate dai broker esteri, da preservarsi ai fini di un eventuale riscontro richiesto dagli organi dell’Amministrazione finanziaria.

Aspetto che potrebbe sembrare semplice qualora si decidesse di operare con degli exchangers qualificati. La cosa si rivela, invece, molto più complicata  quando l’investitore opera con intermediari non qualificati e resi anonimi dalla darknet.

Probabilmente, in questo contesto, i contribuenti non otterrebbero nessuna attestazione ed il cambio potrebbe essere differente da quello esposto nei mercati regolamentati. Con le conseguenze che si possono immaginare in caso di accertamenti.

Ai fini di detenzione per la prova, comunque, si potrebbe ipotizzare di eseguire uno screenshot dell’operazione finanziaria visualizzata nel digital wallet. Anche se ciò potrebbe non essere sufficiente per l’Amministrazione Finanziaria.

Su questo è necessario rifarsi a quanto previsto in tema di prova nelle indagini finanziarie.

In questo caso possono assumere valida valenza giustificativa solo gli atti ed i documenti che provengono dalla Pubblica amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai, pubblici ufficiali, ecc.). Oppure da soggetti terzi in qualità di parte di rapporti contrattuali di diversa natura (sempreché siano identificabili).


Criptovalute nel quadro rw

Le istruzioni alla compilazione del Quadro RW prevedono indicazioni specifiche per le Criptovalute. Nella tabelle dei codici delle attività finanziarie detenute all’estero il codice 14 riguarda le valute virtuali.

L’utilizzo del codice 14 non prevede l’indicazione dello Stato estero di detenzione. Questo, come riportano le istruzioni, per tener conto della specificità delle Criptovalute. In sostanza, per la prima volta viene esplicitato dalle istruzioni relative al Quadro RW che vanno indicate anche le valute virtuali.

OBBLIGO DI MONITORAGGIO

Occorre partire dal fatto che, in base a quanto dispone l’articolo 4 del Dl 167/90, le persone fisiche (oltre agli enti non commerciali e alle società semplici) devono compilare il Quadro RW del modello dichiarativo, relativo al monitoraggio fiscale. Questo in caso di detenzione di “investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia“.

Inoltre, l’articolo 4 prevede che con provvedimento del direttore delle Entrate viene stabilito il contenuto della dichiarazione annuale prevista ai fini del monitoraggio fiscale, sempre in relazione agli investimenti all’estero e alle attività estere di natura finanziaria.

La questione che si pone, quindi, è se le valute virtuali si possono considerare “attività estere di natura finanziaria“, non rientrando certamente nel concetto di “investimenti all’estero“.

La dimensione a-territoriale delle Criptovalute non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Con la conseguenza che il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate, con il quale sono stati approvati i modelli dichiarativi, risulterebbe in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990). Senza contare che se soltanto dal periodo di imposta 2018 le istruzioni al quadro RW includono le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso. Ciò significa che in passato l’obbligo non sussisteva.

Il possesso della chiave privata esonera dal quadro rw

L’obbligo di indicazione delle Criptovalute nel monitoraggio fiscale non si realizza quando la persona fisica residente abbia la disponibilità della chiave privata.

Tale conclusione appare in linea con l’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017. Documento che fissa la presunzione che il luogo di detenzione delle valute virtuali sia coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari.

Va inoltre considerato che le chiavi private possono anche essere gestite da terzi. In questo ultimo caso assume rilevanza la V Direttiva antiriciclaggio, la quale individua questi soggetti nei “prestatori di servizi di portafogli digitali“. Si può così affermare che l’obbligo di indicazione nel quadro RW sussiste unicamente quando il contribuente si avvale di quest’ultimi, e quest’ultimi risultano soggetti non residenti.

Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio.

Le penalità relative al monitoraggio fiscale vengono infatti diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate vengono detenute. Se le stesse risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il legame territoriale delle penalità ha una sua coerenza soltanto per le valute virtuali detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali.

Il valore delle criptovalute

Il Quadro RW richiede l’indicazione del controvalore delle attività finanziarie detenute, sulla base del provvedimento del direttore delle Entrate del 18 dicembre 2013.

Documento con il quale viene conferito il potere di stabilire il contenuto della dichiarazione annuale delle attività all’estero nonché, annualmente, il controvalore in euro degli importi in valuta da dichiarare.

In tale provvedimento, per la valorizzazione delle attività finanziarie, viene operato un rinvio ai criteri utilizzati per la determinazione della base imponibile dell’IVAFE. Questo anche qualora essa non sia dovuta.

Il criterio di valorizzazione dell’IVAFE consiste nel:

“valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenuti i prodotti finanziari (…) e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso”

Le circolari 28/E del 2012 e 38/E del 2013 sottolineano come tale valore debba essere pari (in alternativa):

  • Al valore di mercato, rilevato al termine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione nel luogo in cui esse sono detenute;
  • Al valore nominale. Se le attività finanziarie non sono negoziate in mercati regolamentati;
  • Al valore di rimborso. In mancanza del valore nominale;
  • Al costo d’acquisto. In mancanza del valore nominale e del valore di rimborso.

Il costo di acquisto come valore da indicare

La nozione di mercati regolamentati è stata individuata dalla prassi (circolare 165 del 1998) non solo in Borsa e nel mercato ristretto. Ma in ogni altro mercato disciplinato da disposizioni normative. Quindi, sia i mercati regolamentati di cui al TUF, sia i mercati di Stati appartenenti all’OCSE.

Le rilevazioni di prezzo delle Criptovalute avvengono in luoghi che non costituiscono:

  • Né mercati regolamentati. Elemento alla base del diniego della SEC alla creazione di ETF in criptoattività;
  • Né un sistema organizzato di negoziazione. La rilevazione avviene su piattaforme private che rilasciano informazioni relative al prezzo non validate né verificabili. Con forti variazioni intra-giornaliere e tra i vari fornitori di servizi.

Va altresì tenuto in debito conto che le Criptovalute non hanno valore nominale né valore di rimborso. Conseguentemente l’unico criterio oggettivo è costituito dal costo sostenuto per l’acquisto delle stesse.

Nelle ipotesi in cui sussiste l’obbligo di indicazione delle valute virtuali nel Quadro RW, il criterio del costo è l’unico parametro coerente per le questioni che la disponibilità di Criptovalute può comportare.

Esempio di detenzione di criptovalute

Si ponga il caso di uno smartphone posseduto da un contribuente che viaggia in vari Paesi.

Quale sarebbe il luogo da indicare nella dichiarazione? 

Quello dove la persona ha dichiarato la propria residenza o dove trascorre la maggior parte del tempo?

Una risposta si potrebbe ricercare nelle regole fiscali internazionali relative alla residenza delle persone fisiche.

Regole contenute nell’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017.

Secondo tale articolo si dovrebbe presumere che il luogo di detenzione delle valute virtuali coincida con lo Stato in cui il contribuente ha dichiarato il domicilio o la residenza

Ovvero nel luogo in cui sono stati accertati secondo dette regole, non potendo utilizzare, per ovvie ragioni, le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni.

Qualora, invece, il wallet digitale si appoggi sui siti web di prestatori di servizi, a loro volta contenuti su servers di proprietà ovvero di terze parti.

Come nel tipo di portafogli on-line, difficilmente il contribuente sarà in grado di conoscere il luogo del loro posizionamento nel globo. E, quindi, lo Stato in cui è detenuta la sua valuta virtuale.

Deep web

In più si deve accettare che, se si opera nel Deep Web, anche per un contribuente virtuoso, sarà praticamente impossibile ottenere informazioni. Considerato che l’anonimato è la caratteristica principale di quel lato profondo del web.

Quest’ultima criticità sembrerebbe insuperabile con l’attuale scienza tecnologica a disposizione.

Se, infine, si ritenesse che, un pò come avviene per una carta di pagamento ed il suo deposito presso un istituto di credito, le valute virtuali siano detenute nella blockchain. Ovvero in un blocco di essa, considerata la sua struttura informatica, allora, si dovrebbe iniziare a pensare di eliminare dalla dichiarazione qualsiasi riferimento allo Stato estero.

Soluzione, però, che sembrerebbe non percorribile stante l’attuale quadro normativo.